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Se chi vuole acquistare l'auto va alla propria banca e versa i 18mila euro sul proprio conto corrente, oppure richiede all'istituto di credito di emettere un assegno circolare a suo o altrui favore, consegnando la somma di denaro, non incorrerebbe in alcuna ipotesi sanzionatoria. Questo perché l'operazione viene "mediata" da un intermediario abilitato.
La mediazione
Anche per il futuro, con i nuovi limiti cui si è accennato, questa situazione non è destinata a cambiare.
Ognuno resta libero di depositare o prelevare presso le banche e le Poste, nonché – secondo quanto previsto dall'articolo 49 del decreto legislativo 231/07 – presso gli istituti di moneta elettronica, qualsiasi somma di denaro contante, senza incorrere in sanzioni amministrative.
Le norme contro il riciclaggio non tolgono la libertà dell'utilizzo del proprio denaro per la costituzione di provviste su conti correnti o per eseguire versamenti a qualsiasi titolo presso gli intermediari.
Paradossalmente si può entrare nel proprio istituto di credito con grandi valigie di denaro contante, senza che ciò costituisca comportamento vietato.
Va invece precisato che, pur non essendo impedito il prelievo di ingenti somme in contanti – dato che il denaro depositato su un conto corrente è di proprietà del cliente – è vietato a quest'ultimo, una volta al di fuori dello sportello bancario o postale, utilizzarlo per compiere operazioni sopra la soglia di legge con altri privati.
Se invece il denaro stesso viene ulteriormente utilizzato presso un diverso intermediario abilitato – per esempio, esco dalla banca con il contante e lo verso sul mio conto presso un ufficio postale – il comportamento non sarebbe elusivo di alcuna norma.
Sotto traccia
Per consentire le transazioni tra privati sopra la soglia, le norme antiriciclaggio prevedono l'utilizzo obbligatorio di titoli e strumenti di pagamento nominativi, ossia in cui ci sono il nome e il cognome del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.
Se così non fosse, la classica valigetta di denaro verrebbe sostituita, eludendo le limitazioni, da titoli idonei alla circolazione tra più soggetti (per esempio, un assegno libero, più volte girato tra diversi prenditori).
Questo tipo di regole ha creato non pochi fastidi ai riciclatori, che ovviamente privilegiavano e privilegiano i passaggi di contante per occultare la provenienza delittuosa del denaro e utilizzarlo in operazioni perfettamente lecite (ciò che concretizza, per l'appunto, il reato e l'operazione tipica di riciclaggio).
Esempio emblematico, purtroppo sempre attuale, viene dall'estorsione: i soldi del cosiddetto "pizzo", pagato dai commercianti e dagli imprenditori in molte aree del nostro Paese – fonte di reddito tra le più corpose per la criminalità organizzata – sono per lo più richiesti in contanti.
Queste somme vengono poi depositate presso istituti di credito da soggetti insospettabili, oppure vengono da questi ultimi impiegate in transazioni commerciali consentite, nelle ricariche di tessere telefoniche, nell'acquisto di biglietti ferroviari o servizi non richiedenti l'impiego di grossi importi (sopra soglia), nell'acquisto di beni, nel regolamento di veri e propri "conti correnti occulti" tra bande per la fornitura di droga o armi.
Ci si chiederà come sia possibile evitare queste evenienze, oppure, allo stesso modo, come sia facile riapplicare la norma sul divieto di utilizzo del contante, se le operazioni non sono tracciate (i classici pagamenti in nero).
La ricostruzione del passaggio di somme, in questi casi, è assai ardua, inutile nasconderlo, ma l'errore di farle transitare per un canale tracciabile, prima o poi, viene commesso. La successiva scoperta della «catena di Sant'Antonio» è affidata alle Forze dell'Ordine, che, in verità, ci riescono sempre più spesso e con grande professionalità. Lo dimostrano i recenti e frequenti sequestri di somme e beni ai boss della mafia, dopo attente ricostruzioni circa la loro provenienza, ma partendo da operazioni dove spesso si è utilizzato anche contante.
Tutto ciò rende possibile, anzi talvolta doverosa, l'attivazione di segnalazioni di operazioni sospette a fronte di transazioni e movimentazioni di contante.
Ci si chiede, per esempio, se bisogna segnalare all'Uif (Unità di informazione finanziaria) operazioni palesemente in nero, cioè quando il contante è il frutto di evasione fiscale.
Certo, i dati contenuti negli archivi unici informatici (Aui) degli intermediari e dei professionisti possono essere utilizzati a fini fiscali (come sancito definitivamente dal comma 6 dell'articolo 36 del decreto legislativo 231/07). Ma non sono oggetto di segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio i reati presupposto - l'evasione fiscale è uno di questi - bensì, tra le altre, le "anomalie" nell'utilizzo di mezzi di pagamento.
Quindi, davanti a operazioni in contanti sproporzionate rispetto al profilo finanziario del cliente, è questa situazione che andrà segnalata, proprio come «anomalo utilizzo di contante non giustificato dall'attività svolta».
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